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CONFINDUSTRIA: «MANCANO 280.000 SUPERTECNICI PER LE FABBRICHE 4.0»

Nell’Italia della disoccupazione giovanile record e che si appresta a dedicare la festa del Primo Maggio al precariato, l’industria reclama ben 280.000 «super tecnici» che le imprese non riescono a trovare sul mercato. «Ed è una cifra circoscritta solo a cinque settori produttivi e riferita solo ai prossimi cinque anni: se allargassimo l’orizzonte ci accorgeremmo che quella soglia è destinata a crescere»: Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria con delega al capitale umano guarda e riguarda l’indagine svolta dalla sua associazione tra le aziende e lancia un grido di allarme, vale a dire che il «made in Italy» ha bisogno urgente di manodopera altamente qualificata, giovane, nativa digitale, disposta a lavorare nell’industria 4.0, quella del futuro. Ma fatica a trovare quelle figure.

Il rischio del cortocircuito 4.0

«L’indagine da noi svolta - racconta Brugnoli - ha preso in esame cinque settori cardine per l’Italia, vale a dire la meccanica, l’agroalimentare, la chimica, la moda e l’ICT. Abbiamo domandato di quali e quante figure professionali le aziende avessero bisogno in un arco di cinque anni e tenendo conto di una crescita economica simile a quella dell’ultimo anno. E la cifra che ne è venuta fuori è quella: tenendo conto del saldi tra pensionamenti e diplomati dagli istituti tecnici il gap previsto è di 280.000 tecnici che la nostra manifattura non riuscirà a trovare sul mercato. Un autentico cortocircuito, perché negli ultimi mesi le aziende hanno investito molto per rinovare i loro impianti e adeguarsi alla rivoluzione digitale ma ora rischiano di non trovare le persone necessarie a farli funzionare».

Ogni 3-5 anni si cambia

«Tuta blu» è in sinonimo ormai superato per definire queste nuove figure, proviamo allora a tracciarne il profilo, dato per certo che parliamo di giovani con in tasca almeno il diploma di un istituto tecnico. «La prima caratteristica - racconta ancora Brugnoli - è “flessibilità”, inteso come atteggiamento mentale e disponibilità al cambiamento. Nella fabbrica tradizionale le mansioni di un dipendente mutavano ogni venti anni, oggi questo arco di tempo si riduce a 3-5 anni al massimo. È la conseguenza del modo che hanno le imprese di stare sul mercato e della grande competizione. Le altre qualità devono essere intuito e curiosità, voglia di apprendere; e poi naturalmente essere in possesso di cultura digitale perché ormai tutto passa da lì. Le nuove generazioni, per il mondo in cui sono cresciute dovrebbero essere in possesso naturalmente di queste caratteristiche».

La fabbrica? Una sala operatoria

E allora come mai la fabbrica continua a non essere attrattiva e nelle cronache ricorrono le storie di imprenditori che non riescono a trovare manodopera? «In questi anni la fabbrica è cambiata radicalmente ma non siamo riusciti a comunicare questa rivoluzione. Parliamo di ambienti che ormai assomigliano più a una sala operatoria. Sono titolare di una tessitura dove la trame e l’ordito, il colore del prodotto e tante altre operazioni si governano con un touch screen». Come è possibile chiudere in breve questa forbice? «Con un grande lavoro di orientamento scolastico, sulle famiglie e sui ragazzi facendo capire loro dove lo studio si può maggiormente concretizzare in uno sbocco di lavoro e quali sono le opportunità offerte dal territorio in cui vivono. Da qui può mettersi in modo un percorso virtuoso che magari comincia con l’alternanza scuola-lavoro, con la conoscenza delle opportunità offerte. Si comincia così impegnandosi, faticando ma aggiungendo al proprio curriculum cose fatte anziché semplici sogni».

(FONTE CORRIERE DELLA SERA ECONOMIA - 30 aprile 2018)

 

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