1° Maggio – Festa del Lavoro e dei Lavoratori
Non una festa tra le tante,
ma un segno profetico di cambiamento reale.
Nel cuore di questo Anno Giubilare, la Festa del Lavoro non è solo memoria o celebrazione: è una chiamata profetica a generare speranza concreta per ogni uomo e donna del nostro tempo.
Il lavoro – libero, creativo, partecipativo e solidale – non è un privilegio per pochi, ma diritto e dignità per tutti.
Per questo, oggi invochiamo:
Che ogni luogo di lavoro sia spazio di dignità e di sicurezza.
Che ogni impresa sia al servizio della persona e non del profitto.
Che ogni giovane trovi spazio per costruire il suo futuro, non barriere che lo respingano.
Che ogni nostra comunità testimoni con coraggio che la speranza non è illusione, ma cammino concreto di giustizia.
Il 1° Maggio non può essere vissuto come una ricorrenza qualsiasi.
Ci interpella, ci scuote, ci invita a riscoprire il suo significato profondo: un richiamo alla difesa concreta dei diritti dei lavoratori, troppo spesso proclamati e troppo poco rispettati.
Giovanni Paolo II ce lo ha ricordato con forza:
«Il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo» (Laborem exercens, 3).
Papa Francesco, nella Bolla Spes non confundit, ci indica la strada: costruire un futuro dove il lavoro non umilia, ma solleva; non sfrutta, ma libera; non divide, ma unisce.
Oggi, più che mai, la giustizia sociale passa da qui: dalla difesa dei diritti di chi lavora, dalla promozione di un’economia che metta al centro le persone, dalla scelta educativa di formare coscienze capaci di custodire e rigenerare il lavoro come bene comune.
La speranza, se non si traduce in impegno, è solo illusione. Ma il Primo Maggio ci sfida a farla diventare storia.
Non ci sarà vera giustizia sociale finché il lavoro continuerà a mietere vittime. La mancanza di sicurezza è una ferita aperta, una vergogna collettiva che grida vendetta al cielo.
Invertire questa rotta è urgente e necessario: è questione di dignità, di responsabilità, di civiltà.
Nel tempo del Giubileo, sarà proprio questo uno dei segni più forti e credibili della speranza: un impegno concreto, visibile, irreversibile per garantire che ogni persona torni a casa viva, dopo una giornata di lavoro.
Non bastano le parole. Serve una svolta. Adesso.
C'è troppo lavoro povero, anche se formalmente regolare.
C'è troppo lavoro nero, ancora ipocritamente chiamato “informale”.
Ci sono troppi giovani e troppe donne lasciati ai margini.
C'è ancora troppa distanza tra ciò che si insegna e ciò che il lavoro di oggi richiede.
E c'è un’urgenza drammatica: la sicurezza.
Non è un problema secondario: riguarda la vita delle persone, la tenuta delle famiglie, il futuro dei figli che non devono perdere un padre o una madre per un incidente evitabile.
Promuovere il lavoro degno è esercizio di carità e di giustizia: una carità che dà luce e concretezza alla giustizia stessa.
Non ultimo, serve un appello forte alla responsabilità di tutti noi. Non possiamo continuare a vivere come spettatori passivi, lasciando che le logiche cieche dell’economia e del profitto decidano per noi.
Il mercato non è una divinità che ci sovrasta. Il mercato siamo noi: quando produciamo, quando lavoriamo, quando scegliamo cosa consumare e dove investire.
È tempo di prenderci la nostra parte di responsabilità. È tempo di far pesare le nostre scelte.
La responsabilità sociale d’impresa non è più un’opzione etica per pochi illuminati: è un terreno di giustizia, regolato da norme che chiedono trasparenza, bilanci sociali, e che rifiutano ogni logica speculativa e predatoria.
Tutti – credenti e non – siamo chiamati a spingere le imprese a competere non solo su efficienza e profitto, ma sulla dignità del lavoro, sulla sostenibilità, sul rispetto delle persone.
Usiamo il potere dell’informazione e della coscienza per orientare i nostri consumi e il nostro risparmio.
Perché non è la “mano invisibile” del mercato che costruirà una società più giusta.
È la nostra mano, concreta e visibile, che deve agire.
È la nostra scelta libera che può trasformare i “segni dei tempi” – anche quelli più duri – in segni di speranza. «I segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza
Il 1° Maggio ci chiede ancora di più. Come comunità credente, come Chiesa che vive la città, possiamo e dobbiamo:
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Rafforzare la preghiera per il vastissimo mondo del lavoro e per chi ogni giorno vi si impegna.
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Educare ai valori del lavoro, alla sua dignità, alle sue complessità, e al rispetto dei diritti.
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Dare l’esempio: come singoli e come comunità, attraverso comportamenti giusti, equi, solidali.
Il Primo Maggio non è una memoria sterile.
È una chiamata viva a cambiare la storia, con la forza della speranza che si fa carne, mani, volti, impegno quotidiano.
Signore della vita,
nell’oggi del mondo il Primo Maggio ci sfida.
Non sia solo memoria, non sia solo festa:
sia profezia che genera speranza concreta per ogni uomo e ogni donna.
Ti preghiamo, Signore:
proteggi le mani e i volti di chi lavora,
spezza la catena dell’indifferenza,
dona sicurezza ai luoghi di fatica,
perché nessuno più perda la vita per guadagnarsi il pane.
Sostieni chi difende i diritti,
illumina chi costruisce un’economia che metta al centro le persone e non il profitto.
La giustizia sociale passa da qui:
dal coraggio di chi si sporca le mani per cambiare la storia.
Fa’ che il nostro impegno non conosca tregua,
perché ogni posto di lavoro sia luogo di dignità, di libertà e di vita.
Amen.
Antonio Teodoro Lucente
Presidente ENGIM