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Buon anno formativo 2022-2023

in che modo (ci) investiamo?

«Di chi sei? A chi appartieni? Chi ti appartiene?»

E cosa succede se non ascoltiamo il grido di chi soffre?
Succedono due cose: la prima è che chi soffre muore, ma la seconda conseguenza immediata è che si perde la vocazione.

La vita è cambiamento e il vero metro di giudizio dei cambiamenti è dato dalla osservazione del nostro modo di reagire davanti a ciò che ci è capitato.

Cambiare le nostre azioni, la nostra organizzazione, i nostri progetti, senza cambiare il nostro essere, significa essere condannati a ripetere gli stessi errori.

Recentemente un testo di Luigi Epicoco (filosofo Teologo e assistente del dicastero per la comunicazione del Vaticano) “LA SCELTA DI ENEA” (Ed.Rizzoli), lancia importanti stimoli e riflessioni per affrontare il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, a volte con grande disagio o senso di spaesamento. La scelta di Enea diventa così la rilettura di un’opera fondante della nostra cultura e al contempo uno strumento per interpretare la contemporaneità. Una lente attraverso la quale riflettere sul presente che “scarseggia di speranza e ha bisogno di guardare e di credere nella primavera, in attesa, sotto la neve dell’inverno che stiamo vivendo.”

L’Eneide, l’opera maggiore, canta le gesta di Enea, eroe troiano figlio di Anchise e della dea Venere, che, dopo lunghi viaggi e guerre, s’insedia nel Lazio. Enea è un antenato di Romolo e Remo, i fondatori di Roma, e della gente Giulia, cui appartiene l’imperatore Augusto (le cui origini vengono così celebrate).

Enea, che viene scelto come metafora del modo di vivere in questo tempo, ha davanti a sé il crollo della città di Troia: Troia viene bruciata, moltissimi cittadini uccisi e anche il re Priamo perde la vita.  Per volontà degli dei, Enea si salva portando con sé il padre Anchise, il figlio Ascanio o Iulo, e alcuni compagni; ma perde la moglie Creùsa. A quel punto può fare fondamentalmente due cose:

  1. Lasciarsi paralizzare da quel trauma, dalla sofferenza che quella tragedia , quello sconvolgimento comporta e soccombere; lasciandosi divorare dalla rabbia;
  2. Reagire a tutto questo rendendosi conto che non è ora il tempo ed il momento per giudicare ciò che è accaduto per lui in quella notte, ma che è, al contrario, il tempo in cui BISOGNA REAGIRE FARE QUALCHECOSA perché gli eventi traumatici non abbiano l’ultima parola.

La crisi e le trasformazioni contengono un segno dei tempi

“Bisogna salvare il seme. Questo è il nostro compito. È questa la salvezza, è questo quello che ha fatto Enea, è questo quello a cui siamo chiamati tutti noi”.

 “Dobbiamo salvare il seme: salvando il seme salveremo il mondo che, in fondo, per chi crede, è salvare un viaggio che ci conduce a una meta che ancora nessuno di noi ha perfettamente idea di come sia e di quale sia il suo nome, il nome della fine del viaggio”.

La fine di Troia e la conseguente fuga di Enea con il padre Anchise sulle spalle diventano così la metafora di un viaggio che possiamo percorre attraverso le diverse stagioni della vita, soffermandosi in particolare sulla vecchiaia e il dialogo che essa deve avere con le nuove generazioni e viceversa.
E’ interessante come nella storia di Enea la motivazione a reagire, la motivazione partire, NASCA DA UN’ESPERIENZA DI RELAZIONALITÀ UMANA.

Il nostro tempo, al contrario, ci spinge a cercare dentro di noi, nella solitudine delle nostre organizzazioni, le motivazioni per reagire per fare scelte giuste. Soltanto se sapremo muoverci nel territorio della alterità, se sapremo valorizzare il terreno dell’associazionismo, quindi della condivisione di esperienze, soltanto cioè quando entriamo e stiamo in relazione a contatto riusciamo a intraprendere strade e scelte nuove ed importanti che altrimenti non faremmo.

Nella solitudine, dentro ad una dimensione autosufficiente, solipsistica, retrocediamo, mentre nella esperienza associativa, condivisa ed inclusiva, produciamo innovazione e reazione.

Assume un valore ancora più importante, nel tempo che stiamo vivendo, la dimensione comunitaria della nostra  perché aprendosi alla storia e alla esperienza degli altri ognuno può scoprire una similitudine. Occorre innanzitutto darsi un tempo per ascoltare.

Abbiamo bisogno di aprirci ancora di più gli uni agli altri e per fare questo occorre esplorare lo spazio della fiducia.

Fidarsi significa scegliere di andare avanti con coraggio, di innovare, di vivere, di progettare qualcosa di nuovo ed inedito.

Certamente questa è una scelta che immediatamente procura disorientamento e può apparire contro noi stessi, il nostro orgoglio, la nostra storia, la nostra esperienza personale ed organizzativa, cioè contro quella parte di noi che ha sempre valide ragioni per non fidarsi del cambiamento, per non rischiare di annacquarsi con altri, per non perdere l’identità, perché “come la faccio io la formazione, la programmazione, non la fa nessuno”.

Dice Luigi Epicoco nel testo citato “ Abbiamo bisogno di andare verso un nuovo inizio, dove è necessario tramonti l’autosufficienza. Abbiamo bisogno di Enea che intraprende il viaggio tenendo insieme Anchise e i Penati (il passato), ma anche Ascanio e il Futuro”

LA STORIA DEL POPOLO DI DIO, NELL'ANTICO E NEL NUOVO TESTAMENTO, È COSTELLATA DI CRISI, spesso gravi, talora tragiche. In quei momenti il popolo è richiamato a riflettere sulla Parola di Dio, sui valori umani e sulla propria vita: una chiamata alla conversione. Nei momenti più cruciali dell'Antico Testamento gli ebrei rimeditavano in termini ogni volta nuovi la Pasqua dell'Esodo e dell'Alleanza.

Nel Nuovo Testamento i cristiani rimeditavano la Passione, Morte, Risurrezione del Signore, riscoprendo con gioia che Dio, presente nella crisi dell'Esodo nella 'grande tribolazione' di Cristo (AP 7,14), era presente con loro nelle loro difficoltà: fedele adesso come allora, oltre tutti i tradimenti degli uomini.

Dio si rivelava più forte della crisi: li aiutava ed apriva sbocchi di vita nuova mediante la fede, offrendo loro alcune certezze essenziali di sostegno e di orientamento: Dio con noi, la fedeltà di Dio, il richiamo a rimettersi in cammino con Lui, la speranza- certezza di vita nuova nel futuro, l'impegno a vivere nella fedeltà.

La crisi è il momento dei profeti. Nell'Antico Testamento essi vivevano con la gente, ne scoprivano errori, peccati, responsabilità, attese, smascheravano gli idoli che si erano infiltrati; denunciavano i peccati personali e sociali.
Richiamavano la Parola di Dio, aiutando concretamente a seguirla e portavano una grande speranza. Nel Nuovo Testamento il momento profetico spetta alle comunità e ad ogni credente.
La crisi per alcuni è motivo di ribellione, di chiusura, di perdizione.

Il faraone, le classi dirigenti del tempo della deportazione, il gruppo dirigente che ha condannato Gesù rifiutano la chiamata di Dio, si inaspriscono: il loro cuore si indurisce e si perdono.

Ma si ribellano anche quanti si limitano alla ricerca dell'interesse individuale rinunciando ai valori umani e alla solidarietà.

 

* Per altri la crisi è momento di conversione Scossi nelle certezze fasulle, contestati nella loro idolatria (nel nostro caso …….), non cadono nella colpevolizzazione disperata (abbiamo sbagliato tutto!), non si arrendono al male (non c'è nulla da fare!). Diventano coscienti delle proprie colpe, ma si fidano di Dio; si lasciano cambiare da lui nel cuore e nella condotta; percorrono le nuove strade della vita (come gli ebrei dell'Esodo nel deserto, come Pietro e gli apostoli dopo la Passione di Gesù, come le prime comunità cristiane nel vortice della persecuzione).

 

Penso che, nel cambio di epoca che stiamo vivendo e nelle sfide della transizione attuale, per una Realtà come la nostra, per la sua fondativa ispirazione cristiana e per le caratteristiche proprie che attinge alle radici del cristianesimo e della Dottrina sociale, dovrebbero essere di aiuto e conforto, di forte incoraggiamento, le parole di Gregorio di Nissa (padre della chiesa del IV secolo) che definiva la vita cristiana un continuo ricominciare un “andare di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine”.

Ricominciare significa tralasciare comportamenti e stili, reinventarli, significa soprattutto impegnarsi a comprendere ciò che non è più utile, anzi nocivo, per la nostra convivenza, per l’esito della nostra missione formativa.

Partire per il viaggio, come Enea che lascia Troia in fiamme, significa lasciare il certo per l’incerto e questo fa affiorare tutte quelle resistenze che sperimentiamo sempre di fronte al nuovo a ciò che non ci è noto, come una profonda e incatenante nostalgia per il passato certo e pieno di successi.

Nessuno di noi vuole lasciare le proprie convinzioni per vedersele messe in discussione in un dialogo o in un confronto, ma come ci ricorda bene Luigi Epicoco “le certezze sono sempre segno di idolatria, non di fede. Ciò non significa che non esista una verità, ma quando una certezza e una chiarezza impediscono il viaggio, non sono segno di verità, ma di ideologia” (pag 57).

Non sono un teologo ma credo che potremmo soffermarci sulla figura di Abramo per comprendere il senso del viaggio, ed in quel caso un viaggio senza comprendere bene quale fosse la meta, un viaggio che già di per sé aveva un senso.

Camminare viaggiare significa avere un sogno, solo se abbiamo una speranza il nostro viaggio associativo può diventare un cammino.

Abramo, Enea, I magi dell’Oriente, non sapevano dove li avrebbe condotti il viaggio, sono tutti alla ricerca di una patria, di un senso, e quando arrivano ad un approdo dovranno mettersi in viaggio di nuovo e poi ancora.

E questo che Fondazione ENGIM può e deve aiutare tutti noi a fare: metterci in discussione permanentemente per cercare strade innovative. Potremmo dire che il fine del viaggio non è arrivare, ma diventare, persone, CFP, società diverse.

Non viaggiamo per cambiare e basta ma per diventare. Per scoprire, forse, che, alla fine della nostra erranza, non si va verso, ma si ritorna, rinnovandole, alle motivazioni al senso di coloro che hanno dato forma con la loro ispirazione alle nostre storie educative.

Concludo con l’ultima citazione di un economista deceduto nel 2016, LESTER THUROW, che ha creduto fortemente nella possibilità di una terza via economica e che dopo la caduta del comunismo non fossimo condannati a rassegnarci ad un modello di capitalismo predatorio.

Cristoforo Colombo è passato alla storia come il più grande esploratore mai esistito e forse come l’uomo più famoso perché ha trovato ciò di cui non sospettava l’esistenza.

Colombo non ha vinto perché è stato fortunato. Ha vinto perché ha avuto il coraggio di navigare in una direzione mai tentata prima: senza quel grande atto di coraggio non si sarebbe potuto trovare nella posizione necessaria per avere una colossale fortuna” (IL FUTURO DEL CAPITALISMO, L.C.Thurow, ex preside del MIT di Cambridge).

L'eclissi del senso

Quale è la disperazione contemporanea? E’ l’eclissi del senso. Una società dei consumi che si è costruita attorno alla pancia e non al cuore ha bisogno di infelicità per funzionare e tutti coloro che denunciano questa infelicità e la chiamano con nome, sono percepiti come nemici del sistema. Bisogna ripartire dall'educazione, NON COME LUOGO PER INDOTTRINARE e dare solo competenze, ma come luogo per poter dare gli strumenti per pensare, giudicare, guardare in maniera differente e critica.

Per questo oggi è più che mai il tempo della FORMAZIONE PROFESSIONALE: si studia per prepararsi a trovare un lavoro, noi in particolare come enti della FP siamo centralizzati su questo, ma la formazione non può essere semplicemente finalizzata ad un modello economico e lavorativo, sia pur importante, ma dovrebbe anche servire a vivere, a umanizzare la vita, a diventare cittadini.

Finché continueremo a pensare all’educazione e alla formazione come semplicemente il passaggio di competenze e non come l’arte di vivere, di trasmettere esperienza, allora continueremo ad avere un sistema educativo che genera persone che abitano il mondo in maniera inconsapevole. Una società generativa non può pensare che la riforma del sistema educativo passi solamente attraverso modifiche tecnologiche e concepire il sapere come mera trasmissione di idee concetti nozioni.

padre Antonio Teodoro Lucente
Presidente ENGIM

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